Quanto gli abiti che indossi ti rappresentano o quanto invece trasmettono un’immagine diversa?

Il potere dell’abbigliamento e il suo ruolo nella percezione di sé e degli altri.

Con il Carnevale appena terminato, voglio invitarti a una riflessione su un tema che va oltre la festa in maschera e si intreccia con il nostro quotidiano: Ci mascheriamo nel mondo del lavoro? E se sì, lo facciamo per rifugio inconsapevole o per scelta strategica?

La maschera: dal teatro alla vita quotidiana

Fin dall’antichità, la maschera è stata un elemento centrale nel teatro, simbolo di trasformazione e interpretazione. Indossare una maschera significava diventare qualcun altro o qualcos’altro, assumere un’altra identità, immergersi in un nuovo ruolo e comunicare emozioni in modo immediato e universale.

Nel Carnevale moderno, alcuni amano travestirsi e sperimentare nuove identità, mentre altri non trovano alcun piacere nel farlo. Mascherarsi è uno spazio libero e fluido tra me e il mondo.

In questo processo di metamorfosi si annida la facoltà di fantasticare, giocare e creare.

Si può anche andare oltre il gioco: possiamo esplorare parti di noi stessi normalmente inespresse.

E cosa succede se questa dinamica si riflette anche nella sfera professionale? Quanto l’abbigliamento lavorativo diventa una maschera a lavoro, un’identità forzata o, al contrario, una strategia di successo?

Le maschere nella storia: un linguaggio visivo

Dagli Egizi ai Greci, le maschere hanno sempre avuto una funzione precisa: rappresentare emozioni, caratteri e ruoli sociali. Inizialmente ad una maschera corrispondeva una fisionomia oppure un comportamento o un’emozione (ad esempio: sorriso, rabbia, paura, stupore…) oppure una personalità buffa o impacciata data da tratti caricaturali o barbe arruffate. Dato che gli attori erano tutti uomini alcune maschere servivano per rappresentare figure femminili.

La maschera è sempre stata il mezzo tramite il quale chi la indossava diventava e si immedesimava nelle sue caratteristiche, un modo per simulare quel personaggio.

Ad Atene, attraverso la maschera il semplice cittadino poteva “smettere” di essere tale per un lasso di tempo e divenire un eroe del mito come Eracle o Agamennone o più semplicemente uscire per un momento dalla vita quotidiana ed entrare in una diversa dimensione.

E cosa succede quando trasponiamo questo concetto alla nostra vita professionale?

Anche nel mondo del lavoro, l’abbigliamento può diventare una maschera. Un mezzo per adattarsi a determinati contesti e rischiare di dimenticarsi la propria essenza e la propria identità “abituandosi” ad essere qualcun altro, oppure, uno strumento per rafforzare il proprio brand personale.

“La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto” (Pirandello)

L’abbigliamento come maschera consapevole

Anche noi, nel quotidiano, utilizziamo “maschere”, spesso senza rendercene conto. Il trucco, ad esempio, uniforma la pelle e nasconde le imperfezioni, un paio di jeans e sneakers possono farci sentire più informali e giovani. Mentre con un completo elegante ci sentiamo di comunicare più autorevolezza e professionalità.

Ogni scelta di stile ha un impatto sulla nostra immagine e su come ci percepiamo e ogni scelta può avvicinarci o allontanarci dai nostri obiettivi professionali.

La domanda resta: stiamo indossando una maschera a lavoro o stiamo semplicemente esprimendo la nostra immagine professionale?

Un armadio (e più in generale, tutto ciò che possediamo) è molto più di un insieme di oggetti di forme, lunghezze e colori diversi. E’ il contenitore della nostra narrazione identitaria, nonché il raccoglitore di una parte degli oggetti che costituiscono il Me Materiale e che va oltre il loro valore, il costo, la qualità stilistica e il marchio.

“Vesto, quindi sono: gli oggetti che desideriamo e possediamo, i beni materiali, gli abiti, le scarpe, le borse, i monili, contribuiscono alla valorizzazione del sé e ne costituiscono una sorta di estensione. Senza di loro ci sentiamo a disagio, come se ci mancasse qualcosa.”

(scrive Paola Pizza nel suo libro, Psicologia Sociale e della moda, abbigliamento e identità)

Indossare alcuni capi o accessori contribuisce nel farci sentire più o meno appartenenti a un gruppo e nel farci cambiare la propria autovalutazione (ad esempio apparire più giovani).

La teoria psicologica della enclothed cognition ci dice anche che gli abiti influenzano la percezione di noi stessi: sia con il loro significato simbolico, sia grazie all’esperienza fisica di indossarlo.

Riportando nel quotidiano questi concetti abbiamo la conferma di quanto sia importante la scelta di ciò che indossiamo soprattutto in ambito lavorativo. Non solo per comunicare ciò che effettivamente desideriamo in base ai nostri obiettivi, ma soprattutto per essere allineati con la nostra vera essenza.

Vestirsi di sicurezza: il legame tra abbigliamento e successo

Il guardarsi allo specchio e piacersi con gli abiti e gli accessori indossati, oltre a farci provare emozioni positive, partecipa alla costruzione della nostra identità. Il sentirsi bene con determinati outfit da noi scelti genera sentimenti positivi nei confronti di noi stessi ed alimenta sia l’auto approvazione che la capacità di accettarsi e quindi l’autostima. Questo ovviamente ha impatto anche sulla nostra immagine interiore e sulle relazioni professionali.

Ecco perché nella nostra vita professionale (e non) diventa indispensabile non identificarsi in maschere che ci allontanano dalla nostra essenza.

 Scegliere gli abiti che indossiamo in base alle esigenze e al contesto e anche alle proprie caratteristiche personali permette di guardarsi allo specchio e piacersi. Quando questa scelta non è possibile perché ad esempio non c’è spazio di personalizzazione, oppure c’è un obbligo di divisa, è comunque importante trovare un escamotage.  In quel caso diventa necessario impostare il proprio mindset sul fatto che tu non sei quell’abito. Ma di questo più in dettaglio ne parlerò in un prossimo articolo dedicato.

Come trovare il tuo stile autentico?

Se vuoi lavorare su questo aspetto in autonomia, inizia con un esercizio pratico:

  1. Scrivi un elenco delle tue caratteristiche personali
  2. Identifica le esigenze del tuo ruolo professionale
  3. Individua i vincoli che ci sono e che non possono essere cambiati (ad esempio se esiste un dress code aziendale)
  4. Trova un elemento distintivo che possa rappresentarti: un colore un accessorio, un oggetto.

Altrimenti possiamo farlo insieme, accompagnandoti in un percorso mirato per valorizzare la tua immagine professionale e aiutandoti a trovare un equilibrio tra autenticità e contesto lavorativo.

Immagina di guardarti allo specchio e riconoscerti pienamente nella tua immagine professionale: in sintonia con il tuo ruolo e con ciò che desideri comunicare.

Se vuoi un supporto personalizzato, posso guidarti in un percorso su misura per valorizzare la tua presenza nel mondo del lavoro, aiutandoti a esprimere la tua autenticità con stile e consapevolezza.

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